Dalle Vitas Fratrum di Giordano di Sassonia

Era anco un frate giovane nella città di Riete, c’haveva nome Giovanni, et era semplice, humile, sempre giocondo in viso, et piacevole con tutti: nel mangiare, nel bevere, et nelle altre cose; che s’appartengono alla commune conversatione de i frati; era buon compagno, et trattabile, ma pero irreprensibile, et si secreto di vita molto singolare. Si mostrava molto amorevole, et caritativo verso tutti i frati, ne gli s’udì mai uscir parola di bocca, o si vide alcuna sua operatione, che fosse contraria all’amor fraterno. Era officioso con tutti, et specialmente con gl’infermi, à i quali lavava i piedi, scuoteva i vestimenti, accommodandogli de i suoi, et facendo loro volontieri tutte quelle carezze, che poteva: Serviva oltra di cio à tutti i sacedoti indifferentemente alla messa molto volontieri, et con grandissima diligenza.

Soleva andar solo nell’horto del convento, et quando ne usciva si vedeva spesso, c’haveva pianto; Onde dimandato una volta; perche piangesse, rispose. Io sospiro, et piango, perche vedo gl’arbori, l’herbe, gli uccelli, et la terra co i suoi frutti obedire à Dio, et gl’homini; à i quali in premio dell’obedienza è promessa la Vita eterna; contrafare à i commandamenti del lor Creatore.

A questo frate di felice memoria venne per alcuni giorni continui inanzi alla morte un rossignuolo alla finestra della cella, il qual cantava dolcemente: di che meravigliandosi i frati, et dimandando, che fosse quello, rispondeva sorridendo, et quasi scherzando, che quella era la sua sposa, che l’invitava al Paradiso; et un giorno servendo alla Messa, vide sopra l’altare una luce celeste, et l’istesso dì comincio à star male, et tolti con devotione i santi Sacramenti, rese lo spirito à quello, che l’haveva creato.

Nello spatio del medesimo anno fece Dio col mezo di questo santo frate circa centocinquanta gloriosi miracoli, come ho inteso da i frati di quel convento una volta, che mi trovai personalmente alla sepoltura sua.

 

 

Dopo una ricerca approfondita possiamo dire con certezza che don Salvatore ha sempre sostenuto il vero: il Beato Giovannino visse gli ultimi anni della sua vita, morì e fu sepolto nel convento di S. Agostino a Rieti. Eppure negli ultimi tempi si è ripetutamente asserito che la sua ultima dimora terrena, e la sua sepoltura, fosse l’eremo dell’Annunziata (presso La Foresta), affidandosi a Venanzio Varano, il quale però non fornì alcuna fonte a sostegno delle sue affermazioni.

Probabilmente l’origine dell’errore sta nell’interpretazione data alla parola “eremo”, inteso come un luogo necessariamente isolato, quando invece nell’ambito agostiniano è utilizzato come sinonimo di convento (in quanto l’ordine era detto degli Eremitani di Sant’Agostino).

Tuttavia Giordano di Sassonia, primo biografo del Beato, parla genericamente di un convento (non di un eremo!) situato “in civitate reatina” (e non “prope civitatem” o “extra moenia”), mentre altri scrittori agostiniani fanno riferimento esplicitamente al convento di S. Agostino. In particolare, lo storico Ludovico Jacobilli nel 1656 scrive: ” … fu da’ superiori dell’ordine mandato ad abitare nel convento di Riete” e poco dopo: “il corpo di lui fu venerabilmente sepolto in sepolcro particolare nella chiesa di S. Agostino di detta città di Riete”.

In tutta la tradizione anteriore al Varano, non si parlò mai dell’eremo dell’Annunziata neanche come ipotetico luogo di dimora o di sepoltura del Beato. L’eremo dell’Annunziata, per altro, all’epoca del Beato non esisteva ancora: fu fondato nel secolo XVI. Vero è che negli atti del processo per la confermazione del culto, risalente al 1832, si nomina tale eremo, ma solo in riferimento ad un’immagine del Beato ivi dipinta, che testimoniava la devozione nei suoi confronti.

Enzo Marzi