Nella Piazza Giuseppe Mazzini, tra i palazzi istituzionali e quelli degli istituti scolastici, splende per la sua lunare bianchezza e le screpolature della sua pietra come fosse fatta di tutte rughe, la facciata romanica della Basilica di Sant’Agostino. D’estate il sole che vi batte fin dalle prime ore del mattino, rende in alcuni momenti quella facciata accecante. Su quei luoghi, al tempo in cui sorse la Chiesa, poco sopra alla metà del Trecento e quindi oltre sette secoli fa, con quella sua facciata così diversa dalle altre di quei luoghi a testimonianza di un modo di costruire ormai lontano, la Basilica ha visto trascorre i secoli, alternarsi generazioni di reatini, svolgere episodi, fatti e manifestazioni lontanissime dall’oggi.

Ora vi avvengono riunioni popolari, mercati, spettacoli e frastornanti concerti giovanili in cui i decibel sono come la panna: montano a vista d’occhio e le onde sonore finiscono di infrangersi di contro a quella facciata. Tutto questo colore e questo frastuono, invitano a chiudere gli occhi e ad immaginare una piazza scoscesa e sassosa, di un Medioevo lontano, con donne e uomini e mercanzie e giullari, bambini e animali e musici. Una piazza di quel Medioevo reatino vissuto dalla città di quegli anni, ai piedi della Corte papale che risiedeva in alto, nei Palazzi e nelle Chiese del centro.

Ma questo fenomeno dei decibel si verifica in genere di notte, quando le porte della Chiesa sono chiuse e dentro le sue mura è silenzio, la volta a capriata ammanta tutto con le sue travi e i suoi coppi e nella cappella della Madonna di Lourdes, il Santissimo è solo nella sua teca dorata vegliato dalla Vergine Madre. In qualche giorno particolare dell’anno liturgico, per esempio per il Corpus Domini, ci sono piccoli gruppi di fedeli che vengono quando ormai è buio, a far compagnia a Gesù e spesso pregano fino all’alba, alternandosi.

Di giorno, sulla piazza, il traffico è limitato. Il luogo è regno dei giovani che di mattina varcano le soglie dell’antistante e famoso Liceo classico Marco Terenzio Varrone, che formò italiani noti in tutto il mondo: Eugenio Garin reatino, filosofo e storico della filosofia, grande conoscitore dell’Umanesimo e del Rinascimento; Indro Montanelli, toscano, il più famoso giornalista italiano del secolo scorso, lo storico Renzo De Felice reatino, il più insigne studioso di Mussolini e del Fascismo.

La Chiesa fu fondata nel 1252 da uno degli Ordini mendicanti che ormai si andavano stabilendo alle porte della città, lungo il tracciato della Via Francigena il cui braccio ad est scendeva da Vienna, Venezia, le Marche e dall’Abruzzo, e dalla Toscana e l’Umbria al centro e ad ovest, attraversando sempre Rieti e la Sabina per arrivare a Roma e così giungere alla tomba dell’Apostolo Pietro per poi riprendere a camminare, navigare e attraversare il mare e approdare a Gerusalemme, pregare al Santo Sepolcro, nell’Outremer che era stato di Goffredo di Buglione, Baldovino I e di Riccardo Cuor di Leone.

Quest’Ordine dei mendicanti era quello degli Emeritani, monaci un poco misteriosi dell’Ordo Fratrum Sancti Augustini,, che fondarono chiese e monasteri quando la stessa cosa facevano i Francescani e i Domenicani. I pellegrini che giungevano a Rieti e andavano a Roma, avevano bisogno di assistenza e gli Eremitani gliela fornivano, ospitandoli come un dono dell’amore di Dio sotto queste volte. I pellegrini viaggiavano a scapito dei loro peccati, e avevano quale obbiettivo del loro disagiato viaggio, la Città di David, quella del Gran Re, Nazareth e Betlemme, Cafarnao, il Monte delle Beatitudini e i Mare di Tiberiade.

L’Ordine degli Eremitani, poi divenuti Agostiniani, era nato dalla fusione disposta dalla Bolla Licet Ecclesiae catholicae, di papa Alessandro IV. La nuova Comunità religiosa radunò i frati degli Eremiti di Giovanni Bono (regola agostiniana, 1225), degli Eremiti della Tuscia, degli Eremiti di San Guglielmo (regola benedettina), degli Eremiti di Brettino (regola agostiniana, 1228), degli Eremiti di Monte Favale (regola benedettina), e di altre congregazioni minori nell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, che indossano l’abito nero, costituito da scapolare, cocolla e tonaca, con cappuccio e ampie maniche; cinto in vita da una cinghia di cuoio con fibbia. Tale foggia nel vestire risale proprio al XIII secolo, gli anni di fondazione del tempio reatino. Secondo una diffusissima legenda, fu santa Monica, la madre di sant’Agostino a diffondere quel tipo di saio, in quanto aveva sognato la Madonna così vestita dopo la morte del suo santo sposo, Giuseppe. Per la cintura di cuoio, i frati agostiniani furono noti nel mondo ecclesiale anche come cinturati.

In quel secolo XIII Rieti, umbilicus italiae, fu interessata da un lungo periodo di benessere in cui la popolazione crebbe di numero, l’aumento di braccia infittì il lavoro e si ebbe una interessante floridezza economica. Si migliorarono le strade e si moltiplicarono i commerci e aumentarono i rapporti con le città vicine, specie con Roma. Fiorì la cultura, tutto per la presenza vivificatrice dei Pontefici e della loro Corte papale, che spessissimo vi risiedevano nell’austero Palazzo pontificio sorto e ampliato accanto al Duomo di Santa Maria e che Bonifacio VIII rafforzò dopo il terremoto del 1298, con l’arco che porta il suo nome e che dà direttamente sulla via Cintia. La Corte papale era numerosa di cardinali, vescovi e monsignori che vivevano a lungo in città, di medici, teologi, letterati, artisti e musici.

Ad iniziare grosso modo dalla metà del Trecento, gli Ordini Mendicanti furono protagonisti di una vera e propria gara di natura edilizio-religiosa, impegnandosi nella costruzione delle chiese e dei conventi di S. Francesco, quello degli Eremitani di S. Agostino e infine dei Domenicani, che eressero il loro tempio e monastero dando ad essi il nome del fondatore dell’Ordine cosiddetto dei Predicatori, appunto San Domenico, che fu canonizzato proprio a Rieti da Papa Gregorio IX, il 13 luglio 1234, presso la Basilica di S. Maria.

Tali imponenti costruzioni per la loro mole e la stessa maestosità, tuttora sovrastano l’intero centro storico. Queste chiese vi sono tornate oggi a svolgere quel ruolo di vita ecclesiastica e comunitaria necessaria e decisiva, insieme alle grandi iniziative religiose e alle manifestazioni culturali internazionali di notevole valore che ospitano sotto le loro navate, dopo che, di recente, tutte e tre le chiese sono state restaurate, con l’impiego di cospicue risorse finanziarie da parte dello Stato, della Regione Lazio, del Commissariato per le opere del terremoto, accaduto con gravi esiti nel settembre 1997.

Era naturale che gli Eremitani, figli spirituali di Sant’Agostino, dedicassero la loro Chiesa reatina al nome del loro fondatore, l’autore delle celebri Confessioni, delle Ritrattazioni, che raccontano la sua vita piena di vicissitudini, le sue sofferenze spirituali, la sua iniziale lontananza dal Signore e dal Vangelo, fino al giorno della conversione e della dedicazione della propria vita alla evangelizzazione e alle dispute teologiche con i Manichei e i Donatisti e a quella evoluzione della sua fede e della sua teologia, che è raccontata anche da Possidio, uno dei più noti discepoli di Agostino.

Sant’Agostino nacque il 13 novembre 354 a Tagaste, oggi moderna città di Souk Aharas dell’odierna Algeria, che dista da Ippona poco più di cento km.. Le Confessioni è tra i massimi capolavori della letteratura cristiana di ogni tempo e questo giudizio è ovunque riconosciuto. Agostino si rivolge a Dio e da ciò prende inizio una invocazione al Signore. Secondo il santo d’Ippona, la parola confessione ha tre precisi significati: la confessione dei peccati è la prima. L’uomo medita sui suoi errori e li riconosce e si pente. Agostino ha peccato con intensità; ha tenuto una condotta piena di errori, una vita dissoluta in ogni senso. Il secondo significato è incentrato sulla lode a Dio, perché nel suo infinito amore e nella sua immensa misericordia, Egli ha perdonato anche il peccato più grave. Dio porge le sue mani all’uomo perché si rialzi e non disperi perché prima di essere giudice, Egli è Padre. Agostino avverte nel profondo del suo essere che Dio ha sanato le ferite del suo animo e ridotto la frattura che il peccato aveva prodotto allontanandolo dalla Grazia. Il terzo significato evidenzia la necessità di tornare a professare la propria fede, che con il peccato, ora rimesso, risplende nell’animo di Agostino. La fede ha bisogno di essere quotidianamente nutrita, considerata, indagata, preservata, amata, rinnovando il Credo, per non ricadere e allontanarsi ancora una volta dalla verità, sprofondare di nuovo e perderla con il pericolo che questa volta sia quella definitiva. Il che condurrebbe l’uomo alla disperazione.

«Vedevo la Chiesa popolata di fedeli che avanzavano, l’uno in un modo, l’altro in un altro; invece mi disgustava la mia vita nel mondo – dirà Agostino nelle Confessioni. – Era divenuta un grave fardello per me, ora che non mi stimolavano più a sopportare un giogo così duro le passioni di un tempo, l’attesa degli onori e del denaro. Ormai tutto ciò mi attraeva meno della tua dolcezza e della bellezza della tua casa, che ho amato. Ma ero stretto ancora da un legame tenace, la donna. L’Apostolo non mi proibiva il matrimonio, sebbene invitasse a uno stato più alto, desiderando, se possibile, che tutti gli uomini fossero come lui; ma io, più debole, cercavo una posizione più comoda. Era l’unica causa delle mie oscillazioni. Per il resto ero illanguidito e snervato da preoccupazioni putride, perché la vita coniugale, di cui ero devoto prigioniero, mi costringeva ad altri adattamenti, che non avrei voluto subire. Avevo sentito dire dalla bocca della verità che esistono eunuchi, i quali si mutilarono volontariamente per amore del regno dei cieli; ma aggiunge: “Chi può capire, capisca. Sono certamente vani tutti gli uomini in cui non si trova la conoscenza di Dio e che non poterono trovare, muovendo dalle cose che ci si mostrano buone, Colui che è; ma questo genere di vanità non era più il mio ormai. L’avevo superato, trovando nella testimonianza concorde dell’intero creato te, nostro Creatore, e il tuo Verbo, Dio presso di te e con te unico Dio e strumento della tua intera creazione. Esiste poi una seconda categoria di empi, quelli che, pur conoscendo Dio, non lo glorificarono o ringraziarono come Dio. Anche fra costoro ero caduto, ma la tua destra mi raccolse, mi traesti di là e mi ponesti in un luogo ove potevo guarire, poiché hai detto all’uomo: “Ecco, pietà è sapienza“, e: “Non cercare di apparire sapiente, perché chi si dichiarava sapiente divenne stolto. Dunque avevo già trovato la perla preziosa e mi conveniva acquistarla vendendo tutti i miei beni. Eppure esitavo». (Le Confessioni. Libro Ottavo 1.2)

Nello stesso tempo in cui gli Eremitani costruirono il loro tempio, oltre ai Francescani e ai Domenicani, a Rieti e in tutta la Sabina era un fiorire di vocazioni maschili e femminili. Agli Ordini mendicanti si unirono anche i Cistercensi, che realizzarono il loro insediamento a San Pastore di Contigliano, abbazia oggi tornata a risplendere, completamente restaurata e magnificamente svettante sul lato ovest della Valle Santa francescana con la sua mole tozza e l’edilizia e l’architettura volute e predicate da san Bernardo di Chiaravalle perché le chiese, se ben fatte, aiutano a pregare.

Entrando a visitare la Basilica di Sant’Agostino, i pellegrini che varcheranno il maestoso portale in pietra, sotto la lunetta affrescata con l’immagine della Madonna per mezzo di un pennello e di un autore rimasti sconosciuti, ma ispirati, è bene che ognuno mediti queste parole e tenti di instaurare un Colloquio con Dio, proprio come il vescovo di Ippona ha raccontato nelle Confessioni:

«Quando dal più segreto fondo della mia anima l’alta meditazione ebbe tratto e ammassato tutta la mia miseria davanti agli occhi del mio cuore, scoppiò una tempesta ingente, grondante un’ingente pioggia di lacrime. Per scaricarla tutta con i suoi strepiti mi alzai e mi allontanai da Alipio, parendomi la solitudine più propizia al travaglio del pianto, quanto bastava perché anche la sua presenza non potesse pesarmi. In questo stato mi trovavo allora, ed egli se ne avvide, perché, penso, mi era sfuggita qualche parola, ove risuonava ormai gravida di pianto la mia voce; e in questo stato mi alzai. Egli dunque rimase ove ci eravamo seduti, immerso nel più grande stupore. Io mi gettai disteso, non so come, sotto una pianta di fico e diedi libero corso alle lacrime. Dilagarono i fiumi dei miei occhi, sacrificio gradevole per te, e ti parlai a lungo, se non in questi termini, in questo senso: “E tu, Signore, fino a quando?. Fino a quando, Signore, sarai irritato fino alla fine? Dimentica le nostre passate iniquità“. Sentendomene ancora trattenuto, lanciavo grida disperate: “Per quanto tempo, per quanto tempo il “domani e domani”? Perché non subito, perché non in quest’ora la fine della mia vergogna?”. (Le Confessioni. Libro Ottavo. 12.28)

La Basilica di Sant’Agostino è ricca di affreschi, tele, opere d’arte di notevole valore artistico e documentario. Sulle sue pareti sono ancora visibili affreschi del sec. XV, poi rovinati per la ristrutturazione secentesca, una tela ad olio di Anonimo, del XVII sec., Fuga in Egitto, il monumento funebre del poeta reatino Angelo Maria Ricci, l’Epigrafe del cav. Valentino Fabri, un Crocefisso del XVII sec., la statua della Madonna della Cintola, che veniva portata solennemente in processione fino a metà dell’ultimo secolo, festa e processione che saranno reinserite nel calendario delle celebrazioni a partire dal 2012, un prezioso Crocefisso, che era in precedenza custodito nella chiesa di S. David. Di recente sono stati eseguiti lavori ad opera di istituzioni statali e cittadine quali la Fondazione Varrone, per il restauro della cappella di S. Rita (Estasi di Santa Rita da Cascia di Lattanzio Niccoli. 1643) e quella dei nobili Clarelli (La Strage degli Innocenti, di Ludovico Carosi. 1612) .

Suscita curiosità, infine, il grande affresco distaccato dall’Aula capitolare dell’attiguo monastero, ora trasformato in scuola, opera di Liberato di Benedetto di Cola di Rainaldo, tra i massimi pittori reatini, raffigurante una immensa Crocifissione. Sono di fattura moderna le vetrate dell’abside, fatte eseguire nel secolo scorso. Di recente è stato installato il nuovo coro in sostituzione di quello antico distrutto dalla caduta delle capriate per il violento terremoto del 1898 ed è stato completamente ripulito e restaurato il chiosco d’epoca.

Il tutto fa un bell’effetto, tanto che di questo grande complesso architettonico, curato in modo diligente e particolarmente amato dal parroco mons. Salvatore Nardantonio, i reatini sono gelosi e nello stesso tempo orgogliosi. Estranei al suo fascino, infatti, e indifferenti al calore spirituale che ne promana, non si potrebbe restare. E chi lo visita o vi prega, chiaramente ne subisce un fascino improvviso, che lo colpisce e lo prende e che non si cancella più dalla memoria. Da quella del cuore, soprattutto. Perché chi vi entra pensa che lì c’è Dio e che, come Sant’Agostino, lo incontrerà anche lui: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (Le Confessioni. Capitolo decimo. 27.28)

                                                          Ottorino Pasquetti